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«La mia Bagnoli»
La LINGUA NAPOLETANA
Cari amici, è da un po' di tempo che non ci sentiamo... Purtroppo la vita a volte ci fa seguire strani e tortuosi percorsi e così trascorrono mesi prima di potersi dedicare a cose più piacevoli, come scrivere qualche appunto per questo magnifico sito bagnolese.
L'idea di riprendere la penna mi è venuta qualche giorno fa quando ho letto l'ennesimo colloquio fra amici scritto in lingua... napoletana. Quando ci vediamo o ci parliamo al telefono nessun problema: ci comprendiamo tutti, ma quando affidiamo il nostro dialetto alla penna o alla tastiera... nascono seri problemi.
Proviamo a tradurre in napoletano questa frase: "Mia sorella è uscita stamattina". Con mio grande dolore per gli occhi e per gli orecchi qualcuno scriverebbe: "Sorm è asciut ra cas".
Non mi riferisco, ovviamente a chi sa scrivere il napoletano, ma a chi si avventura così, per sfizio, per dare al colloquio un'impronta amichevole, un'impronta tutta "nostra" e simpatica.
Ma... non ci siamo. Prima di riprendere il discorso, lasciatemi però aprire una parentesi. Siamo tutti orgogliosi di affermare che la nostra è una Lingua, non un dialetto. E abbiamo ragione, perchÉ il Napoletano discende direttamente dal latino e addirittura ci sono ancora oggi più parole latine di qualsiasi altro popolo, compresi i nostri amici romani. L'elenco delle parole mutuate sarebbe lunghissimo. Farò solo qualche esempio: il "mantesino" (il grembiule che indossiamo quando cuciniamo) ci arriva direttamente dal latino: "(ab)ante sinum", cioè davanti al seno e, con il passare degli anni, dei secoli, il... bantesino è diventato il mantesino. La connola (cioè la culla) deriva da "cuna" e poi "cunula". E' più lunga invece la spiegazione per altri vocaboli come " 'nzallanirse" (da cui 'nzallanuto). Qui si deve risalire ad un latino regionale "selenire". Come sapete Selene è la Luna e quindi è come dire "lunatico". " 'A perzeca" è la pesca e viene da "pierzeco", anch'esso dal latino "persicus" = persiano, della Persia, la nazione da cui si ritiene originaria la pianta).
E si potrebbe continuare con moltissimi vocaboli. Aggiungo solo una curiosità: nella nostra città, quando vogliamo intendere di essere in miseria, in povertà, diciamo: "Nun tengo manco ‘a capa ‘e zi’ Vecienzo" (Non ho nemmeno la testa di zio Vincenzo, non ho nulla).
In realtà i Napoletani storpiarono (perché forse capirono male) la frase latina "caput sine censu" che indicava una persona priva di censo.
Mi piacerebbe continuare elencando parole che discendono dal greco o dal francese o dall'arabo, ma finirei per annoiare. Chissà, magari in una prossima occasione.
E riprendo così il discorso interrotto prima. Perchè ho affermato "Non ci siamo" (con la scrittura del Napoletano)? Perché se scriviamo "Sorm è asciut ra cas" commettiamo un vero e proprio sacrilegio alla nostra Lingua che tanto amiamo.
Sarebbe come scrivere in Italiano: "O manciato pane e cepolle". Che brutto vero? Vi ripugna? Anche a me. E allo stesso modo non è affatto gradevole leggere "Sorm", perché è una parola che non esiste nel nostro idioma. E allora come si scrive? Si scrive così: "Sorema è asciuta ajére".
Vi sembrerà strano che ho scritto anche le lettere finali, mentre nel parlato non vengono pronunciate. Lo so, ma la Lingua vuole che si scrivano così. "E allora come dobbiamo fare, se non sappiamo scrivere in Napoletano?" mi chiederete. Io non sono un professore, sono solo un amante, come voi, del nostro bel Dialetto, Lingua, Vernacolo, chiamatelo come volete, e un vero e proprio consiglio non saprei darvelo. Potrei suggerirvi di scrivere anche le lettere finali perché alla fin fine è meglio leggere "Sorma" che "Sorm". E poi non è vero che ce le... mangiamo tutte le vocali: ricordate la canzone "Io mammeta e tu..."? La "e" di "mammeta" si sente!
Il cantante non dice "Io mammta e tu...".
Ma vi do un consiglio ancora migliore: scrivete in Italiano: sicuramente sarete compresi meglio e sarà un buon esercizio, visto che oggi, ahimè, nessuno più scrive una lettera... nemmeno al vostro povero Samlet.
Samlet
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